L’arte perduta di ascoltare

Ogni parola è un seme.

E come il seme, quando è fecondo, contiene in sé il proprio nutrimento.

Da troppo tempo le nostre parole, le parole degli uomini, non sanno più radicarsi.

Girano stancamente senza trovare il terreno che permetta loro, nel chiacchiericcio ormai cosmico che ci avvolge, di aprirsi un varco. Uno spiraglio di senso, di

verità, di fondamento.

Sono tante, troppe, sempre inutili.

Ci parliamo continuamente, con i mezzi tecnologicamente più avanzati per non dirci niente.

Anzi, più discorsi facciamo, più difficoltà abbiamo a comprenderci.

Rispetto alle parole – seme, le nostre sono parole coriandolo, si muovono secondo il fiato.

Quando l’aria si ferma, si posano al suolo, in attesa di un altro refolo di vento.

Parliamo e parliamo, senza mai essere sfiorati dal dubbio che la parola, per esistere davvero, deve essere nutrita dall’ascolto.

Solo l’ascolto di colui che parla con un suono potente di tromba o come una brezza leggera, ci permette di vivere riflettendo sulla nostra grandezza, ci permette di sfuggire alle tentazioni

dell’ignoranza, dell’impazienza, al richiamo di quell’idolatria che sta divorando la dignità delle persone.

… Si, ogni parola è un seme e il cuore dell’uomo il luogo in cui si deve posare.

E lì, dentro di noi, che deve mettere radici, trasformandoci in creature colme di sapienza…

(S. Tamaro in “Ogni parola è un seme”)